Hey, occhio agli spoiler! Prima di proseguire, se non l'hai ancora fatto, scorri la pagina e leggiti il capitolo precedente!
CAPITOLO 2: HAL
By Simone Amato Cameli
Ah, non vedo l’ora di essere in camera. Sono stanchissimo. Appena entro mi schiaffo sul letto. Che ore sono? Lo scintillio del quadrante d’acciaio dell’orologio fa capolino dalla manica. Le undici e mezza. Dannati treni, sempre in ritardo. Avrei dovuto essere qui un’ora fa. Pazienza.
Eccola lì, quella porta uguale a tutte le altre eppure diversa. La mia porta. Spengo la musica e appoggio le cuffie sul divanetto nero. La mano corre rapida sotto la giacca, riemerge stringendo le chiavi. Apriti, materno, scudo sicuro contro tutti i terroni che si aggirano nei corridoi. Giro le chiavi nella serratura, come una carezza. Apriti, sportello della mia intimità. Oppone una certa resistenza. Dai, su… E apriti! Apriti, brutta porta del… Ah, finalmente.
Entro, e l’oscurità mi inghiotte. Into darkness. A poco a poco inizio a percepire i volumi oscuri che ingombrano lo spazio buio, completamente buio. Ma…
Eccola lì, quella porta uguale a tutte le altre eppure diversa. La mia porta. Spengo la musica e appoggio le cuffie sul divanetto nero. La mano corre rapida sotto la giacca, riemerge stringendo le chiavi. Apriti, materno, scudo sicuro contro tutti i terroni che si aggirano nei corridoi. Giro le chiavi nella serratura, come una carezza. Apriti, sportello della mia intimità. Oppone una certa resistenza. Dai, su… E apriti! Apriti, brutta porta del… Ah, finalmente.
Entro, e l’oscurità mi inghiotte. Into darkness. A poco a poco inizio a percepire i volumi oscuri che ingombrano lo spazio buio, completamente buio. Ma…
Lì.
Lì, accucciato nell’angolo, come una creatura spaventosa nei meandri di un’astronave labirintica. Le pieghe della pelle orrendamente accartocciata. L’odore nauseante.
Attende immobile nelle tenebre.
Mi aspetta. Sì, aspetta me. Sapevo che questo momento sarebbe giunto. Lo sapevo.
Devo buttare la spazzatura.
Accanto a me risplende qualcosa. Un inquietante occhio quadrangolare rifulge di una luminescenza azzurrina nelle tenebre. Avvicino la tessera, infilo il tributo tra le sue fauci. Una serie di pigolii elettronici degni di un gruppo di droidi risuona nel profondo. La stanza si sta animando.
Poi, una luce accecante mi travolge. Riapro gli occhi. Galleggio in questo bianco asettico eppure così caldo. Il mobilio ultramoderno e minimale risplende candido. Ah, i moduli NASA al confronto sembrano arredati da mio cugino. Un riflesso corre sul lucido delle piastre, mentre dei numeri si accendono con un fischio acuto. Mi libero del cappotto e lo appoggio assieme alla valigia sul letto, sotto lo sguardo freddo e minaccioso della spia rossa lampeggiante del sistema antincendio, lassù. Vede tutto, controlla tutto. Sempre pronto a strombazzarmi in testa nei momenti meno adatti.
Lì, accucciato nell’angolo, come una creatura spaventosa nei meandri di un’astronave labirintica. Le pieghe della pelle orrendamente accartocciata. L’odore nauseante.
Attende immobile nelle tenebre.
Mi aspetta. Sì, aspetta me. Sapevo che questo momento sarebbe giunto. Lo sapevo.
Devo buttare la spazzatura.
Accanto a me risplende qualcosa. Un inquietante occhio quadrangolare rifulge di una luminescenza azzurrina nelle tenebre. Avvicino la tessera, infilo il tributo tra le sue fauci. Una serie di pigolii elettronici degni di un gruppo di droidi risuona nel profondo. La stanza si sta animando.
Poi, una luce accecante mi travolge. Riapro gli occhi. Galleggio in questo bianco asettico eppure così caldo. Il mobilio ultramoderno e minimale risplende candido. Ah, i moduli NASA al confronto sembrano arredati da mio cugino. Un riflesso corre sul lucido delle piastre, mentre dei numeri si accendono con un fischio acuto. Mi libero del cappotto e lo appoggio assieme alla valigia sul letto, sotto lo sguardo freddo e minaccioso della spia rossa lampeggiante del sistema antincendio, lassù. Vede tutto, controlla tutto. Sempre pronto a strombazzarmi in testa nei momenti meno adatti.
Ah, le cuffie. Le ho lasciate fuori. Spalanco la porta, piazzo il cestino in modo tale che rimanga aperta e mi inoltro di nuovo nel freddo spazio esterno per una breve escursione extraveicolare di recupero.
Freddo. Fa proprio freddo. Che stanchezza. Ora torno e mi ficco sotto la doccia. Bollente. Poi sotto il piumone. Un sorriso godurioso si disegna sul mio volto mentre arraffo le cuffie.
Un botto dietro di me.
La porta! La porta si è chiusa!
Freddo. Fa proprio freddo. Che stanchezza. Ora torno e mi ficco sotto la doccia. Bollente. Poi sotto il piumone. Un sorriso godurioso si disegna sul mio volto mentre arraffo le cuffie.
Un botto dietro di me.
La porta! La porta si è chiusa!
NOTA PER I LETTORI: a seguito di garbata richiesta dello staff di We_Crociferi ho deciso di censurare questa parte. Sono sicuro tuttavia che non avrete problemi a immaginarla come e meglio del sottoscritto.
E ora che faccio? Fa anche un freddo boia. Magnifico. Davvero magnifico. Mi tocco le tasche. Ah, ho ancora il cellulare. Non ho voglia di scendere. No, non se ne parla. Aspetto qui. Ora chiamo Al. Quel tizio è una specie di macchina da studio. A volte sembra addirittura avere sentimenti umani. Non ho ancora capito se sia una macchina che cerca di imitare un uomo, e in tal caso sarebbe un discreto successo, o un uomo che imita una macchina, e in tal caso, beh, sarebbe un discreto coglione. Comunque, la fortuna di avere un coinquilino che proviene dal profondo sud è che non torna quasi mai a casa. Sì, sarà sotto in aula studio come sempre. Ah, il piumone torna ad avvicinarsi. Dunque… Alberto, eccolo.
Avvicino il cellulare all’orecchio. Squilla. Sbrigati, forza.
La sua voce lenta e vagamente inquietante mi risuona nell’orecchio.
“Ciao, carissimo, come stai?”
“Ciao Al, senti ho bisogno che tu faccia un salto qui ad aprirmi che ho lasciato le chiavi dentro.”
Silenzio.
“Al, ci sei?”
Ancora silenzio. Ma che cavolo…?
“Al!”
“Mi dispiace, carissimo, ma purtroppo non posso.”
“Non puoi?”
“Mi piacerebbe molto aiutarti, carissimo, ma sono tornato a casa, questa settimana.”
Mi passo una mano sulla fronte. Questa settimana, eh?
“Al, ti avrò detto novemila volte di avvisarmi quando non ci sei!”
“Mi dispiace… solo che… senti alla fine… quando…”
Cosa? Che dici?
“Al, non sento!”
“…credo… è vero… tornare a casa… fare degli… in giro… tondo come…”
Girotondo? Questo è scemo. Sì, ora ho la conferma. Ha il cervello di un vecchio computer IBM.
La voce s’incupisce, frasi incomprensibili. Poi nulla. Fine.
Ah, bene. Mi tocca scendere. Va bene dai farò subito.
TO BE CONTINUED…
Avvicino il cellulare all’orecchio. Squilla. Sbrigati, forza.
La sua voce lenta e vagamente inquietante mi risuona nell’orecchio.
“Ciao, carissimo, come stai?”
“Ciao Al, senti ho bisogno che tu faccia un salto qui ad aprirmi che ho lasciato le chiavi dentro.”
Silenzio.
“Al, ci sei?”
Ancora silenzio. Ma che cavolo…?
“Al!”
“Mi dispiace, carissimo, ma purtroppo non posso.”
“Non puoi?”
“Mi piacerebbe molto aiutarti, carissimo, ma sono tornato a casa, questa settimana.”
Mi passo una mano sulla fronte. Questa settimana, eh?
“Al, ti avrò detto novemila volte di avvisarmi quando non ci sei!”
“Mi dispiace… solo che… senti alla fine… quando…”
Cosa? Che dici?
“Al, non sento!”
“…credo… è vero… tornare a casa… fare degli… in giro… tondo come…”
Girotondo? Questo è scemo. Sì, ora ho la conferma. Ha il cervello di un vecchio computer IBM.
La voce s’incupisce, frasi incomprensibili. Poi nulla. Fine.
Ah, bene. Mi tocca scendere. Va bene dai farò subito.
TO BE CONTINUED…